Scritto nel 1859 Oblomov è la storia di un nonfatto, di un’immobilità fisica e mentale che i ritmi lenti, ossessivi del racconto rendono con morbosa sottigliezza. Il personaggio di Oblomov, incatenato all’inazione da una sorte di paralisi spirituale, è l’emblema di un aspetto tragico e affascinante dello spirito russo: quella riluttanza ad accettare i “tempi” della realtà che ha remote radici nel fatalismo orientale, nell’esaltazione asiatica del primato della contemplazione sull’azione.